Di nuovo un appello su Facebook, di nuovo un nome che inizia con la L (spoiler: né il medium, né la lettera iniziale saranno gli ultimi): dopo Leon, tra i ragatti e nella vita di Roberta arriva Lapo.

Un musetto smagrito e malinconico, pixel sfocati accompagnati da parole che raccontavano una storia triste quanto quella immagine.
Era un gatto su decine che cercavano casa a Pianello, in provincia di Piacenza, dove una pseudo-colonia nata per caso si era trovata orfana dell’umana che se n’era occupata fino ad allora; un appello su decine, quelle che passano ogni giorno sulle bacheche e sotto gli occhi di chi ha un account social.
Eppure, per Roberta è stato proprio quello, proprio lui.




C’è sempre qualcosa di misterioso e di magnifico, alla base di un incontro tra una persona dietro lo schermo e un animale ancora fatto di byte.
La bellezza è soggettiva, ma difficile davvero trovarne traccia in quel primo ritratto di Lapo, che Roberta ha conservato sul telefono. Si trovavano in abbondanza, invece, il passato difficile, la storia strappalacrime, la necessità di una casa: quanto bastava (e serviva) per l’incontro.
E poi Lapo aveva (avrebbe dovuto avere) 3, al massimo 4 anni, adulto ma giovane, perfetta spalla, guida e compagno di giochi per il giovane Leon, con buona pace dell’anziana micia Lilly che, di quel vulcanico ragattino nero, non ne poteva più.



Il 25 maggio 2013 Lapo arriva a casa e il primo aneddoto che Roberta racconta di quel giorno è lui che aspetta che Lilly si alzi dalla sua cuccia per andare a farci i bisognini dentro, forse ritenendo che fosse la sua nuova, comoda lettiera (sì, lo ammetto, ho riso più del dovuto umanizzando i pensieri della povera Lilly, che si sarà chiesta perché i gatti strampalati capitassero tutti a lei).



Ed è significativo che giunga dopo, nella chiacchierata con Roberta, la menzione di un altro dettaglio, che dettaglio tanto non è – per molti non lo sarebbe stato, almeno. Perché, alla prima visita dal veterinario, i quattro-denti-quattro rimasti in bocca a Lapo svelano che i suoi anni non sono i pochi dell’annuncio, ma ben di più, dieci almeno.
“È stata una sorpresa, ma non un problema. Per me l’età non conta poi molto. Da 4 a 10 anni, a me non cambiava la vita; l’importante era che cambiasse la sua, che con noi stesse bene e che avesse trovato la sua famiglia”.



Ora, maggiorenne per gli umani, gOldie DOC per i canoni felini, Lapo è un gattone adorabile, estroverso e sereno. Insieme a La Mamy, prossima protagonista, mi saluta e mi accoglie come se mi conoscesse da sempre.
Dico a Roberta che mai gli avrei dato i suoi anni, mentre posa come un modello; anche se, poi, quando si muove, quando lo accarezzo, qualche traccia dell’età viene fuori.
Medicine, controlli periodici, cibi speciali: niente, neanche a saperlo prima, che avrebbe fatto cambiare la scelta di Roberta (“Anche perché, se un gatto entra a casa mia, ci resta per la vita”). E niente che ha cambiato l’indole di Lapo, che “è, ed è sempre stato, il gatto più buono del mondo. Non chiede mai nulla, vuole solo stare in braccio, tutto il tempo, tutta la giornata”.

Tranne quando esce sul balcone e si allunga più che può, per godersi il sole, il fresco, il panorama o, semplicemente, la sua vita. Perché lontanissima è la prima metà della storia, di fronte a nove anni di vita meravigliosa.

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