Sarà stata la proverbiale audacia foriera di fortuna, il caso oppure qualcosa di più profondo e ancora più difficile da definire (l’istinto, il sesto senso), quello che ha spinto per prima verso la rete Maya-già-Pallina?

Anna era appena andata in pensione e finalmente avrebbe potuto prendersi cura nel miglior modo possibile di un cagnolino. Quel giorno lei e il marito Raffaele erano appena entrati al canile municipale di Torino, ancora più pieno del solito visto l’ingresso di un gran numero di cani sequestrati da un canile lager del Sud e sistemati in vari rifugi. Non avevano in mente nessun “cane ideale”, ma forse Maya i suoi “umani ideali” li aveva ben presenti, ed erano proprio loro: “È stata la prima ad avvicinarsi” spiegano quando chiedo perché proprio lei.

Era l’estate di 14 anni fa. Maya si chiamava Pallina e infatti quello è il nome rimasto sul suo libretto, l’agenda che contiene i dettagli della sua vita. Di una parte, almeno: le informazioni pratiche, i controlli, le annotazioni della veterinaria; perché, è chiaro, di vita ce n’è tantissima di più.

Le passeggiate, le abitudini condivise, l’amicizia tra Maya e la nipotina Arianna. Le brevi separazioni per cause di forza maggiore, l’attesa; la gioia infinita nel ritrovarsi dopo, quel valore aggiunto che non è indicato nelle cartelle cliniche e negli appunti sulle convalescenze, ma che è una medicina potente per chiunque la provi. L’intelligenza, la pazienza nell’adeguarsi a nuovi passi, la caparbia di voler stare tutti insieme, perché nessuno si lascia indietro in famiglia.

E poi le foto delle vacanze, che per i suoi umani sono state in posti meravigliosi e che per Maya lo diventavano perché c’erano i suoi umani. I ricordi di tutti i viaggi, perché “se non viene lei, non andiamo noi”, anche quest’estate, con il suo zainetto rosa già pronto (dentro c’è anche la sua radiolina personale per farle compagnia) quando la vado a trovare perché la partenza è imminente, si sta per aggiungere un altro viaggio, un altro pezzo di vita insieme.

Pensarlo possibile avrebbe richiesto un grande atto di fede qualche mese fa, quando Maya è stata male. Una mattina i suoi umani si sono alzati e non l’hanno trovata in camera con loro, primo segno di stranezza; si era rifugiata in un’altra stanza dopo aver lasciato in giro tracce di bisogni, stranezza estrema per una cagnolina metodica e pulita come lei, che in giardino ha eletto un posto preciso come suo bagno e da lì non si sposta mai.

Prima ancora di vederla tutta storta e tremante, Raffaele e Anna avevano capito che c’era qualcosa di grave da quei piccoli segni che, per chi condivide l’esistenza con altri, sono invece segnali inequivocabili. E allora la corsa dalla veterinaria, poi in clinica, la diagnosi di ictus, la proposta di tenerla in una gabbia dell’ambulatorio per la notte così da tenerla sotto osservazione “Ma solo se posso stare anch’io con lei” dice Raffaele: e allora Maya torna a casa, nella sua casa, con la sua mamma e il suo papà di un’altra specie e dello stesso cuore che non la perdono d’occhio per un istante. Ancora adesso, di notte, si svegliano per controllare se è al suo posto, se sta bene, se respira ancora; “Per fortuna russa”, sorride Raffaele, e benedetto sia il russare, siano tutti i segnali di vita.

La terapia è lunga, continua ancora, di mezzo c’è stato un altro ictus più lieve, vista e udito sono un po’ peggiorati, ma Maya è in piedi ed è sempre lei, con lo sguardo intelligente, buono e fiero, sempre puntato in direzione dei suoi umani.

C’è un’ultima cosa che chiedo ad Anna, la domanda che conclude sempre gli incontri di Progetto gOldies: se potessi usare solo una parola per descrivere Maya, quale sarebbe?

Allora sospira per un secondo e distoglie lo sguardo, mentre aleggia nell’aria quel grande “come si fa”, come si fa a sintetizzare tutto – gli anni, gli aneddoti, la vita – in un pezzetto così piccolo di materia; ma lo spazza via subito, perché incertezze non ce ne sono.
Sono tre parole, ma così strette che valgono come una, come unico: perché Anna sa che, per raccontare Maya, non basterebbero libri, ma basta dire “L’amore mio”.

Avatar Rachele T.

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Una replica a “18 – Maya”

  1. Avatar 19 – Minù – Progetto gOldies

    […] è che l’ho conosciuto proprio grazie a Progetto gOldies per mezzo di Anna, l’umana di Maya, che me l’aveva ribadito da subito e in modo categorico: “Devi incontrare la mia amica […]

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