“Piji-lo, piji-lo ca l’è bel!”.

Prendilo, prendilo che è bello. Una frase che, negli anni, è diventata storica come motto di una fregatura imminente.

Quella domenica di marzo del 2008 era stata la perorazione definitiva che aveva convinto Benedetta e Luca a portarsi a casa un cucciolo di due mesi dal pelo soffice, gli occhi seri e l’odore di stalla, l’ultimo rimasto, quello che nessuno aveva scelto. “Chissà perché“, con intonazioni differenti, sarebbe stato un leit motiv degli anni successivi.

Non che le parole suadenti fossero necessarie, di fronte a quel batuffolino: ci si innamora vedendo la sua prima foto, immaginate di provare a tenerlo in braccio senza prenderlo con sè.

La prima foto di Harlock (grazie a Benedetta)

Il giorno dopo il suo arrivo nella nuova casa, Harlock era fuggito da un buco visibile solo a lui, creando scompiglio e lasciando presagire che la vita insieme sarebbe stata una continua, pazza avventura.

E così questa è la storia di un cane bellissimo, un po’ prepotente e molto furbo, one-of-a-kind direbbero gli americani, esemplare unico e inimitabile; la storia di un cane poco amabile (all’apparenza), ma molto amato, che ha viaggiato in posti meravigliosi e le cui imprese, un po’ piratesche come quelle del Capitano interstellare da cui ha preso il nome, sono diventate leggenda. È la storia del terribile, del magnifico Harlock.

Un cane noto a tutti

Io l’ho conosciuto di fama, 11 anni fa, prima di incontrarlo in peli e ossa e prima che la sua umana, Benedetta, diventasse una delle figure più importanti della mia vita.

Nonostante vivessimo a pochi metri di distanza, il primo contatto era stato grazie a lui e per interposta persona, quando, in un negozio di arredamento a 15 km da casa, una dipendente aveva detto: “Ma tu sei di Fiario (frazione del mio paese di origine, ndR)? Allora conosci per forza Harlock!”, e si era messa a raccontare ridendo una serie di aneddoti sul suo carattere e sulle sue imprese che sembravano finti, da quanto erano esagerati.

Letti diventati off-limits per gli umani, morsi dispensati con generosa imprevedibilità, ingressi vietati a chi non era di suo genio (quasi chiunque), addestratrici che, disperate, rinunciavano a seguirlo e che, probabilmente, mettevano in dubbio la loro stessa vocazione.

Negli anni successivi ho saputo dai suoi umani che quelle storie fantasmagoriche erano tutte vere, che molte altre ce n’erano e che ce ne sarebbero state, e alcune le ho vissute in prima persona.

Ho accarezzato titubante e quasi commossa Harlock su sua esplicita, pressante richiesta e ne sono stata timbrata sul sedere, il tutto nel giro di un minuto scarso, perché ero salita sulla scaletta del “suo” camper senza che lui ci riuscisse e senza il suo permesso; ho passato serate in bilico tra “mi sei simpatica, grattami” e “ti odio, vattene subito da casa mia” in un loop continuo e senza apparenti ragioni; ma ho anche fatto con lui e la sua umana (non con Skid: l’unica volta che ci avevamo provato, il mio cagnone bonaccione era tornato a casa terrorizzato, dopo 45 minuti di continui “chi-va-là” e tentativi di agguati da parte di Harlock) alcune tra le passeggiate-chiacchierate più belle, divertenti e imprevedibili della mia vita; mi sono fermata a salutarlo ogni volta che passavo davanti al cancello; l’ho fotografato, infine, in una lotta contro il tempo, contro il lockdown e contro quella diagnosi arrivata prima di una banale operazione di routine che non ci sarebbe mai stata, perché il bozzo spuntato sulla testa era l’annuncio di un cancro con metastasi che lo stava divorando con silenziosa implacabilità.

E così, queste che vedete qui sono foto in maglietta e mascherina, ma che racchiudono decine di immagini (e svariati anni) che anch’io porto nel cuore, fatte di volti scoperti e abiti invernali, tramonti estivi che illuminano capelli e peli (e che vorrei tornare indietro a immortalare, senza lasciarli scivolare via pensando “ce ne saranno altri”), acquazzoni improvvisi con soste forzate sotto l’unica pensilina trovata lungo la strada e il conseguente concerto lupesco di Harlock, il solo suono così possente da sovrastare anche i colpi di grandine, che ci aveva allietato per tutta la durata dello stop (di quella scena di vita vissuta, una foto vera c’è; ancora adesso, quando la rivedo, mi sento fradicia e felice come allora).

Se queste sono le mie istantanee-ricordo, migliaia e migliaia sono le immagini che tappezzano il cuore dei suoi umani, cartoline di Harlock sulla spiaggia, nel mare sardo, lungo i sentieri selvaggi della Corsica o in mezzo alla lavanda, sempre insieme.

Queste che vedete qui sono foto dove la bellezza di Harlock c’è, il tumore non ha potuto portarla via: ci sono il suo sguardo enigmatico, sempre a metà tra il severo e il sornione, la folta coda a pennacchio e le orecchie grandi. E c’è anche l’amore, quello che lo ha accompagnato per tutta la vita, così grande che ha superato il suo carattere dispotico, le difficoltà di avere la prima esperienza con un cane proprio con un cane come lui, tentativi, mediazioni ed equilibri conquistati coi denti; figuriamoci se una mascherina poteva coprire un amore così e impedirgli di mostrarsi in tutta la sua bellezza e unicità. Ben altro ci voleva per fermare quell’amore e per fermare Harlock.

Harlock raccontato da Benedetta

Di sicuro lo conoscevano tutti; era un personaggio. “Cos’ha combinato Harlock stavolta?”. E c’era sempre qualcosa di nuovo da raccontare.

Durante uno dei primi viaggi insieme, lungo la strada per Annecy, era stato male perché aveva mangiato qualche schifezza prima della partenza: ne era seguito un tale disastro che ci eravamo dovuti fermare lungo la strada per pulire il trasportino, il camper e lui stesso. Per farlo, lo avevamo legato all’unico posto disponibile, il guard-rail: tutti quelli che passavano credevano che lo volessimo abbandonare.

Nel corso di un’altra vacanza eravamo tutti e tre seduti al tavolo di un locale a Sainte-Marie de la Mer: avevamo scelto un posto all’apparenza defilato, ma non ci eravamo accorti della presenza del menù in esposizione proprio lì attaccato, con un continuo via vai di sconosciuti che si avvicinavano. Harlock, ovviamente, cercava di mandarli via tutti, abbaiando, mostrando i denti e usando tutti i suoi quasi 40 chili. “È agitato per il vento” dicevamo a tutti per giustificarlo, mangiando più in fretta che potevamo per andare via da lì.

Un’altra volta stavamo facendo il bagno in mare; di punto in bianco, mentre stava andando verso Luca, aveva cambiato traiettoria e si era mosso come un siluro verso una donna che nuotava incurante della sua presenza e dei nostri gesti per farla spostare. Mancava solo la musichetta e sarebbe stato l’esatto remake de Lo Squalo.

Eppure sapeva anche essere un tenerino, come quando, la mattina presto, veniva vicino al letto per farsi accarezzare, ovviamente nel modo e per il tempo che piacevano a lui (se no, era molto bravo a far capire che qualcosa non era di suo gusto). Quelle coccole sono tra i ricordi più belli che ho.

Il suo umano del cuore, però, era Luca. Una volta, in partenza per la Corsica, dal traghetto avevano chiesto che il solo guidatore rimanesse a bordo dell’auto durante le operazioni di imbarco, così io e Harlock eravamo dovuti scendere e ci saremmo dovuti dirigere in cabina. “Saremmo” è la parola chiave: mentre tutti gli altri passeggeri salivano attorno a noi, lui era rimasto immobile, impermeabile a qualsiasi mio tentativo di farlo muovere, gli occhi fissi verso il punto dove immaginava sarebbe comparso il suo papà e i piedi saldamente fissi a terra. Non c’è stato verso di farlo spostare fino a quando non è arrivato Luca. Credo che su quel traghetto ci siano ancora i segni delle sue unghie.

Con gli altri cani non andava molto d’accordo. Spesso non gli piacevano, forse per l’esperienza che aveva avuto da cucciolo con le due cagnette dei vicini, che non perdevano occasione per abbaiargli contro e cercare di morderlo dal recinto. Altri gli erano indifferenti.

A volte, per la sua indipendenza, penso che si sentisse più un gatto che un cane, anche se neanche con i felini aveva un gran bel rapporto: se era da solo li ignorava, se c’eravamo noi li cacciava in modo teatrale. Quando rientravo a casa guardavo sempre che non ci fossero gatti nei paraggi, cercando di non farmi notare, ma Harlock intercettava sempre il mio sguardo e si precipitava contro lo stesso micio che fino a poco prima era stato tranquillamente nella sua cuccia. Abbiamo sempre avuto il dubbio che lo facesse apposta e che, forse, si divertisse anche un po’ dei nostri sudori freddi.

Non gli sfuggiva niente; solo negli ultimi anni era diventato sordo e non si accorgeva se qualcuno arrivava o andava via. Per fortuna non si accorgeva neanche più dei botti e dei tuoni, che lo avevano sempre spaventato. Stava diventando più tranquillo, anche se era sempre lui.

Era sempre fiero, ad esempio, e lo è stato fino all’ultimo istante; fiero e bello. Lo era anche in queste foto, riguardandole ci sembra che quasi il tumore non lo sfiguri, che sarebbe vissuto ancora un bel po’; invece, qualche giorno dopo, non c’era più.

Si era addolcito, questo sì, forse è stato il cambiamento più grande dell’ultimo periodo insieme. L’unico momento in cui riuscivamo a ridere, in quelle settimane da incubo dopo la diagnosi, era quando ci dicevamo che sapeva che stava per lasciare questo mondo e voleva mostrare che era un bravo cagnolino, per non finire nell’inferno dei i cani-diavoletti. Per noi lo è stato, non bravo, il migliore, sempre. Non vorremmo mai un altro cane come Harlock, ma se ci dessero la possibilità di avere indietro lui, proprio lui, così com’era, non ci penseremmo un secondo prima di dire mille volte sì.

Se potessi scegliere una sola parola tra tutte per ricordarlo, non avrei dubbi: sarebbe “Puzzino”! Ogni tanto gli scappava una puzzetta e allora si girava con un’espressione stupefatta: “Chi è stato? Di sicuro non io!”. E poi ci guardava sospettoso. Ridendo, Luca e io dicevamo che sembrava la reazione che avrebbe potuto avere la Regina Elisabetta.

Non è un ricordo elegante e nemmeno perfetto; se ci penso bene, vale lo stesso per tutti gli altri che mi vengono in mente quando penso alla nostra vita insieme. Alla fine, anche i ricordi dei contrattempi vissuti con Harlock ci sono rimasti nel cuore, anzi, forse più ancora degli altri, perché sono unici, solo nostri.

“Puzzino” non sarà poetico, ma è un ricordo che ci fa sorridere, che è parte della nostra storia. È per questo che per me Puzzino sarà sempre Harlock e sarà sempre famiglia; sarà sempre casa.

Avatar Rachele T.

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2 risposte a “#10 Harlock”

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